
Corte d’appello di Perugia assolve commessa accusata di appropriazione indebita
“Assolta perché il fatto non sussiste“. Con questa motivazione la Corte d’Appello di Perugia ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva condannato una donna di 47 anni, impiegata come commessa in un negozio di una catena nazionale di abbigliamento.
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La signora era stata accusata di essersi appropriata indebitamente di vari capi di abbigliamento e di somme di denaro sottratte dalla cassa del negozio per un ammontare di oltre 13 mila euro.
Con questi capi di accusa, il Tribunale di Perugia l’aveva condannata in primo grado ad una pena di 6 mesi di reclusione e a risarcire la controparte (la catena di abbigliamento ndr) e a sostenere le spese legali.
- Martedì scorso, a seguito del ricorso presentato della difesa della donna rappresentata dall’avvocato Delfo Berretti, la Corte d’appello ha ribaltato la sentenza.
Le memorie difensive prodotte dall’avvocato Berretti, hanno smontato gli elementi probatori su cui si era basata l’accusa e grazie alle quali era stata emessa la sentenza. La difesa, durante il dibattimento in appello, è riuscita a dimostrare che non vi erano prove certe per configurare il reato di appropriazione indebita a carico dell'(ex) imputata.
Secondo l’avvocato Berretti non ci sarebbero prove certe che la merce e il denaro mancante fossero state sottratte dall’imputata, né che la società avesse attuato verifiche oggettive sui presunti ammanchi.
Le accuse rivolte alla commessa erano inoltre solo verbali, senza alcun riscontro documentale.
Su questi presupposti la Corte d’Appello ha ritenuto di dover “riformare” la sentenza precedente assolvendo l’imputata in virtù dell’ex art. 530 del codice penale perché il fatto non sussiste.
Con la sentenza sono state revocate anche quanto stabilito in sede civilistico con il risarcimento e le spese legali.
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